Capitolo 14

Dove si recita la disperata poesia dell'infelice studente, con altri avvenimenti vari ed eventuali

La poesia di Giò:

Un giovane studente in trasferta,
Cogli occhi coperti da coperta,
S'innamorò perdutamente
D'una tipa indifferente
Quel povero sfigato in trasferta.

Tu bella e giovane Piemontese
Che non ti risparmi in offese
Che pretendi complimenti
E che dispensi tormenti
Sei crudele, o lallera Piemontese.

Un ardente innamorato campano,
Che sul cuore teneva un fignano,
Dimenticò la vagina
Assumendo ketamina
Quel dissotato ardente Campano.

Un disperato rimbaudista d'Avellino,
Pieno di droga come un carpellino,
Nel mezzo di un trip
Ricordò la jessipp
O povero percotatto di Avellino.

Tu fregetatta ristina italiana
Nella mia zatta fai rima con pullana;
Mi crellerai volare
Dall'alto del gullare
Tu infimosa rammissita Italiana.


Il componimento fu seguito da un attimo di silenzio in cui si sentì solo la voce di Don Cyshiter esclamare:
«Ma questa è una catena di limerick metasemantici, codesto giovine era un talento!»
Gli astanti erano perplessi. Qualcuno riteneva che il modo in cui veniva descritta Marcella non rendesse giustizia alla ragazza, qualcun altro semplicemente pensava che quei versi fossero un'accozzaglia di lettere a caso.

Andrea, che meglio di tutti i presenti aveva conosciuto Giovanni, si sentì in dovere di spiegare il componimento di quei versi e, soprattutto, la triste sorte dell'amico.
«Alcuni giorni fa Giò si era dichiarato per l'ennesima volta a Marcella. Lui era così, un tipo all'antica: anziché farla bere e allungare le mani preferiva scrivere una poesia e invitarla a cena.
Marcella non gli ha mai risposto, poi siamo venuti a sapere che aveva addirittura bloccato il suo numero.
Giò ha avuto come un moto di autolesionismo. Siccome Marcella odia le droghe e l'alcool, lui ha iniziato a prendere degli acidi proprio per fare dispetto a lei.
Marcella lo ha saputo che lui si rovinava per lei e non ha fatto niente, nemmeno un messaggio. Finché Giò, l'altra sera, ha viaggiato più lontano di quanto non avrebbe dovuto.
Nell'ultimo trip ha scritto questa poesia, continuava a dire "C'ho le mani! È fantastico, le mie mani hanno cinque dita, posso fare un sacco di cose con le mie mani!". E poi, prima che potessimo fermarlo, ha camminato fuori dalla finestra.»

Ci fu ancora un attimo di silenzio in cui Andrea lasciò ardere il fuoco. Le poesie di quel sensibile ragazzo andavano in fiamme dove di solito arrostiscono le salamelle e la loro cenere si raccoglieva lì dove cole il grasso sfrigolante.
Il raccoglimento fu interrotto dall'arrivo di una ragazza. Tutti si voltarono a guardarla e anche chi non l'aveva mai veduta prima capì immediatamente chi fosse.
Aveva un viso angelico, pelle di porcellana, labbra di rosa e occhi cerulei. Ma nessuno ci faceva caso perché erano tutti impegnati a sbirciarle il culo attraverso i vestiti larghi di lino.
«Ma brava, vieni anche qui a farci vedere quanto sei bella e indifferente? O forse hai il coraggio di dirci che ti spiace tanto di quel che è successo?»
«Né l'una né l'altra cosa.» Rispose lei cercando di non alzare i toni. «Tra ieri e oggi ho ricevuto così tanti messaggi in cui praticamente  mi si accusa di omicidio, che sono voluta venire qui a spiegare cosa sia successo, e vi prego di starmi a sentire.»
Nessuno la interruppe.
«Sono anni che un sacco di ragazzi mi viene dietro; se dò corda a qualcuno ecco che tutti gli altri mi danno della zoccola, se mi faccio i fatti miei allora dicono che sono frigida.
È come se essere bella fosse una colpa. Ma se a me una persona non piace, perché devo per forza accettare i suoi complimenti, i suoi passaggi in macchina e i drink?
Non posso mettere una foto su un social, che di sicuro mi arriva qualche commento pesante. Non posso lasciare il mio numero di telefono che vengo tempestata di sms di tutti i generi.
Giovanni almeno non era stato volgare, ma mi scriveva a tutte le ore del giorno e della notte, alla fine ho dovuto bloccare il suo numero.
E non mi si dica che si è suicidato per amore. Il suicidio d'amore esiste solo nei romanzi rosa. Siccome  sono contraria alla droga, all'abuso di alcool e al sesso occasionale, mi dicono che sono fredda e mi perdo il bello della vita. Ho visto cosa mi perdo.
Mica gliel'ho dato io l'acido. Che colpa ne ho se si è messo in testa di attirare la mia attenzione rovinandosi con la droga?
Mi avete usato come capro espiatorio ma se avete un po' di rispetto per il vostro amico prendetevela con chi spaccia e lasciatemi stare una volta per tutte.»
Nel proferire queste ultime parole diede le spalle a tutti e, senza attendere risposta, tornò in macchina e si allontanò.
Qualcuno dei presenti fece per correrle dietro, non sappiamo se per inveirle contro o se per chiederle di uscire, ma Don Cyshiter vide l'opportunità di sfoggiare la propria cavalleria e sbarrò loro la strada.
«Nessuno ardisca a tener dietro alla vezzosa Marcella!
Ella ci ha spiegato con assai buone ragioni che poca o nessuna colpa le si può dare per la morte di Giò, e ha chiaramente detto che non gradisce attenzioni.
Piuttosto che essere perseguitata, qualche che sia l'intento, merita di essere rispettata per i suoi buoni propositi.»
Nessuno volle attaccare briga in quell'occasione e Andrea richiamò l'attenzione per portare avanti l'ufficio funebre.
Bruciò il ceppo e le ultime carte dell'amico e la comitiva presto si sciolse.

Vivaldo propose a Don Cyshiter di tornare insieme a Torino, dove avrebbe di sicuro trovato molte avventure, ma questi declinò, dicendo che ora che si trovava ai piedi di quelle montagne era suo sacro compito snidare tutti quegli assassini e briganti dei quali correva voce fossero piene zeppe.
Persuasi da questa sua eroica risoluzione, i fricchettoni non lo importunarono oltre e lasciarono che si incamminasse col fido Sergio Zanca verso il loro destino.

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