Capitolo 19

Dell'avventura del chierico pietrificato

I due prodi della Mandria proseguirono stentatamente lungo i tornanti per un certo tratto di strada.
Nonostante la fame si facesse sentire, nessuno dei due volle fermarsi a mangiare, Don Cyshiter per il troppo dolore alla mandibola e Sergio Zanca per paura di incappare in qualche controllo delle forze dell'ordine, dopo i numerosi incidenti di cui erano stati protagonisti.
«Le sfighe che ci sono capitate,» disse lo scudiero in una delle frequenti pause, «secondo me sono colpa del tuo spergiuro. Avevi giurato di fare penitenza finché non trovavi un casco, no? E io te l'avevo detto che non si giura così tanto per fare, che poi ti tiri la sfiga addosso.»
«Hai ragione, o Sergio, e in verità ti dirò che questo m'era uscito di mente. Ho pagato il castigo per la mia smemoratezza e tu per non avermene ricordato prima. Ma farò ammenda e Selune dimostrerà la propria misericordia.»

Intrattenendosi in questi e simili discorsi e rinfrancati dalla frescura montana proseguirono oziosamente tutto il giorno lungo i tornanti, costeggiando quell'arco alpino che fa ben capire da dove proviene il nome "Piemonte".
La notte li colse infine in una strada lontana dai centri urbani, con gli stomaci che protestavano rumorosamente, perché con la perdita delle bisacce erano mancate anche tutte le provviste, l'unica cosa che Sergio sparasse era di trovare una piola ancora aperta, ma ad onta di ciò li si fece invece incontro una nuova avventura.
Non era ancora sorta la luna e la notte era più scura dell'ordinario, videro avvicinarsi una serie di lumi in processione, come stelle che si muovessero. Si fermarono e stettero a guardare il lento appropinquarsi di quelle luci, che si facevano più grandi via via che si avvicinavano e sembravano accompagnati da strane litanie.
Sancio prese a tremare e Don Cyshiter, non senza qualche turbamento, disse:
«Questa senza dubbio deve essere una grandissima e pericolosissima avventura, in cui sarà necessario che io mostri tutto il mio valore.»
«Povero me,» rispose Sergio, «non credo di avere altre costole da rompere per sopportare un'altra avventura, tanto più se si tratta di fantasmi come mi sembra.»
«Non temere, fantasmi o no, non permetterò che ti si tocchi un pelo della barba; che se stamattina si son presi burla di te è stato solo perché non ho potuto scavalcare la siepe, ma qui siamo in campo aperto e posso brandire liberamente la spada.»
«Ma se sono fantasmi la spada servirà a poco.»
«Comunque, Sergio mio, ti chiedo di farti forza, e presto vedrai quanto io valga.»

Capitolo 18

Dove si raccontano i discorsi che passarono tra Sergio Zanca e Don Cyshiter, con altre avventure degne di essere ricordate

Sergio raggiunse il suo compare, ma così debole e rintronato che gli mancava persino la lucidità per far andare lo scooter. Vedendolo rovinato a quel modo, Don Cyshiter gli disse:
«Ora Sergio, amico mio, sono certo che quel palazzo, o forse ostello, sia maledetto. Non potevano che essere demoni dei Nove Inferi quelli che si sono presi così giuoco della tua persona. E tanto più lo credo che mentre guardavo quei terribili affronti da sopra la cancellata, non mi è stato possibile scavalcarla per correre in tuo soccorso, né scendere da Sgommodura.
Ti giuro da paladino che sono, che se avessi potuto raggiungervi ti avrei vendicato in modo tale che quei malvagi si sarebbero ricordati di tale burla per il resto delle proprie esistenze.»
«Io pure mi sarei vendicato se avessi potuto, paladino o no. E stai sicuro che quelli che mi hanno conciato così non erano demoni né Ianguesi, ma persone come me e te. E se non hai potuto scavalcare la siepe non era per un incantesimo, ma per qualche altra ragione.
Quello poi che so io è che queste avventure che facciamo ci porteranno a tanti malanni che a un certo punto non distingueremo più la destra dalla sinistra.
La cosa migliore secondo me sarebbe tornarcene alla Mandria, che in questa stagione è piena di faggianelle che prendono il sole nei prati, prima di passare dalla padella alla brace.»
«Tu conosci ben poco della vita dell'avventuriero.
Taci e abbi sofferenza, che verrà il giorno in cui vedrai coi tuoi stessi occhi quanto ti farà grande l'esercizio di questa professione.
E dimmi di grazia: qual maggior contento può esserci che quello di trionfare su un nemico di Grado Sfida estremo? Nessuno senza dubbio.»
«Sarà così, che io di queste cose non ne capisco niente, ma intanto da quando siamo avventurieri non abbiamo vinto nessuna battaglia apparte quella col tizio dell'automobile, e anche da lì ne sei uscito con mezza orecchia in meno. Dopo di quello tutto è andato avanti a bastonate e cazzotti e io, in più, sono stato sbalzato su una coperta da delle persone indemoniate su cui non posso vendicarmi. E perciò non so ancora quanto sia bello vincere un nemico, come dici te.»
«Questo è il rammarico che sento io, e che devi provare tu pure, o Sergio. Ma mi procurerò al più presto una spada benedetta +3 che mi permetta di ferire qualsiasi creatura, anche immateriale, e che magari mi conferisca un bonus ai Tiri Salvezza contro gl'incantesimi. Sarò come il cavaliere nero Gatsu, la cui spada intrisa del sangue di mille esseri immondi gli permette di guerreggiare contro i peggiori demoni.»
«Con la fortuna che c'ho io, se anche trovassi una spada così, verrebbe fuori che la possono usare solo i paladini, e io mi ritroverei nella merda, proprio come è successo con la Pozione di cura.»
«Non temere di questo, che la sorte non sarà così severa con te.» Lo incoraggiò l'amico.

Capitolo 17

Seguitano gli innumerevoli travagli che il valoroso Don Cyshiter patì insieme al suo fido scudiero Sergio Zanca nell'ostello che egli, a suo danno, credeva un palazzo elfico

L'indomani mattina, alle prime luci dell'alba, Don Cyshiter si riprese un poco e si svegliò.
«Sergio, amico mio, dormi? Dormi tu, Sergio, amico mio?»
«E come faccio a dormire con te che continui a chiamarmi? Il risveglio perfetto dopo una notte infernale.»
«Ah! Non dici male. O io ho perduto il senno, o questo palazzo è maledetto. Devo rivelarti una cosa ma devi giurarmi di non farne parola con alcuno.»
«Va bene, lo giuro.» Rispose Sergio.
«Te lo raccomando, perché qualcuno potrebbe trovarsi disonorato da questa verità e io non lo voglio.»
«Ripeto e giuro che custodirò il segreto fino alla tua morte, e spero di poterlo rivelare già domani.»
«Mi porti dunque così tanto rancore da volermi vedere morto così presto?»
«Non è per questo. È che non mi piace di tenere segreti; non vorrei che a conservare troppo a lungo un segreto mi si infradiciasse nello stomaco.»
«Sia quel che sia, io mi fido della tua discrezione.
Devi dunque sapere che mi è accaduta una delle avventure più strane che si possano immaginare: questa notte è venuta da me la figlia del Signore di questo palazzo, una delle vergini più leggiadre della sublime razza elfica.
Che ti potrei dire della gentilezza della sua persona? Del suo gran discernimento?»
«Come ce l'aveva il discernimento? Era sodo?»
«Le qualità cui pensi tu, che sei di allineamento Caotico, seppur buono, noi paladini non facciamo menzione.
Mi limiterò a dirti della maledizione che minaccia questo posto, poiché mentre mi intrattenevo con lei in dolci e amorosi colloqui, sono stato subitaneamente attaccato da una mano gigante, che sospetto essere frutto di un potentissimo incantesimo chiamato "Pugno serrato di Bigby".
Mi ha dato un colpo così forte alle ganasce che mi ritrovo tutto coperto di sangue, e poi mi ha afferrato stritolandomi le costole così forte che mi ritrovo più dolorante di ieri dopo l'imboscate dagli Yuan-ti.
Ora io sospetto che qualcuno abbia gettato una maledizione su quella damigella per preservarne la virtù.»
«Questa volta non sarò io a fare pensieri strani. Questa notte sono stato pestato dagli orchi, che le botte degli Ianguesi di ieri a confronto sembrano un massaggio thailandese.
Almeno tu hai avuto tra le mani quella bellezza che hai detto, io invece niente. Mi venga un cancro se voglio fare il paladino, eppure mi piglio sempre la maggior parte delle saccagnate.»
«Dunque anche tu sei stato colpito e rimani con pochi Punti Ferita?»
«E non t'ho detto di sì?»
«Non ti affliggere amico mio, che io procurerò tosto per noi una pozione di cura che ci risanerà in un batter d'occhio.»