Capitolo 27

Del modo in cui l'insegnante e il barbiere attuarono il loro piano, con altre cose degne di essere riportate in questa epica storia

L'idea di Pietro piacque tanto al barbiere che la misero subito in pratica.
A casa di Pietro Pere recuperarono alcuni vestiti e travestimenti: il padrone di casa mise in una zaino una lunga barba finta e una tunica con cappuccio. A Nicola invece toccarono un paio di orecchie di plastica a punta, un arco e una faretra con frecce dalla punta a ventosa.
«Ma questo non è un costume.»
«Ma sì, avrai un paio di pantaloni larghi e una maglia verde a casa, li metti su e fai l'elfo silvano.»
«Ma mi riconoscerà subito.»
«E tu mettiti una bandana in faccia, che fai l'elfo-ninja.»
«Elfo-ninja?»
«Se vuoi ti do un po' di sangue finto e fai l'elfo-ninja-zombie.»
«Ma vaffanculo.
Almeno togliamo le ventose dalle frecce.»
«Fa' come vuoi, ma se finisce che fai male a qualcuno sono cavoli tuoi.»
Istruirono Sergio di non rivelare le loro identità, per il bene del suo amico, e quando gli avesse chiesto la risposta di Selene di rassicurare Don Cyshiter dicendo che l'Avatar gli comandava di seguire quegli avventurieri e aiutarli nella loro missione, che era di massima importanza.
Avevano convinto lo scudiero ad assecondarli dicendogli, non senza ragione, che fintanto che Don Cyshiter fosse rimasto fra i boschi ad addestrarsi, di sicuro non avrebbe salvato nessuna fanciulla e quindi non avrebbe potuto procurargli alcun harem.

Seguirono dunque Sergio, che cavalcava Sgommodura, lungo l'autostrada e poi attraverso una statale che attraversava ameni paesi facendo abbastanza rotonde da far venire la nausea al barbiere. Nel tardo pomeriggio passarono vicino al dirupo granitico della Madonna del Sasso, il promontorio dietro cui Don Cyshiter era stato lasciato ai propri allenamenti.
Lasciata la macchina in un piazzale, i due amici si vestirono come concordato. Sergio disse che gli li precedesse, recando la risposta alla lettera per Selene, stimando che essa sarebbe bastata a farlo schiodare da dove si trovava, senza che loro si scomodassero.
Così Pietro e Nicola si sedettero su un muricciolo al limitare degli alberi, ben contenti di non dover camminare in quella giornata ancora calda, con indosso barbe finte, bandane e altre chincaglierie accaldanti.
Standosene lì comodi a sperare che nessuno li vedesse in quelle condizioni, udirono una voce, come un lamento che echeggiava tra gli alberi:



«Non ti perdonerò mai amore mio.
E non per il dolore che mi hai inferto.
Né per il vuoto che hai lasciato.
Ma per ciò che potevamo essere.
E che non hai avuto il coraggio di guardare.»

Si meravigliarono per i versi poetici e per come venivano decantati con trasporto. Restarono immobili e in silenzio per sentire se ne sarebbero seguiti altri, e proprio quando stavano per alzarsi e andare a cercare il poeta, udirono di nuovo la medesima voce:

«C'era tanto, troppo amore,
e un castello di carte a contenerlo.
Non poteva esaurirsi.
Non poteva riciclarsi.
Poteva solo volar via,
come un fuoco d'artificio,
bruciando mani, bocca e occhi.
Urlando al cielo nero
la sua gioia e la sua fine.»

Un profondo sospiro terminò quei versi; il maestro e il barbiere rinnovarono la loro attenzione sperando che riprendessero, ma presto si accorsero che la voce prima ferma era ora rotta da pianti e singhiozzi.
Si alzarono e si guardarono intorno e infine, dietro un albero, si imbatterono nella figura descritta da Sergio raccontando l'incontro con lo Stracciato d'infelice aspetto, il quale rimase davanti a loro, come assorto in gravi pensieri.
Pietro, sperando di poter soccorrere in un giorno solo due pazzi, gli si avvicinò e con miti parole gli consigliò di abbandonare quei boschi e di tornare ad una vita più normale, prima di mettere in pericolo la propria salute.
Giuliano, che era in un intervallo di lucidità, non sembrò stupito che gli si parlasse come se i suoi affanni fossero di pubblico dominio, e rispose in questo modo:
«Dovete essere di quegli spiriti altruisti che aiutano i buoni e talora anche i malvagi, senza bisogno di alcun merito da parte nostra. Comprendo che vogliate persuadermi, con solide ragioni, ad abbandonare il mio attuale stile di vita, ma forse non sapete che per salvarmi dalle mie attuali sciagure mi fareste incappare in peggiori.»
Forse per via del modo di parlare, forse per altre ovvie ragioni, l'insegnante e il barbiere devono averlo guardato di traverso, come se temessero che la malattia di Don Cyshiter fosse contagiosa.
«Capisco che mi teniate per uomo di debole intendimento, non mi meraviglierei se mi prendeste per matto, perché vedo io stesso che il continuo ripetermi le mie stesse sciagure mi spinge verso la follia.
Ma non mi resta altro che scolparmi alla meglio, prendendomela con la causa stessa dei miei mali e raccontandola a chi vorrà ascoltarla. Pertanto anche voi, prima di mettere in pratica i vostri propositi di soccorso, non vorrete forse porgere orecchio al racconto delle mie disavventure?»
Quei due non aspettavano altro che sentire quella storia e lo lasciarono ripeterla, più o meno con le stesse parole che aveva usato parlando con Don Cyshiter, fino al punto in cui questi l'aveva interrotto (vicende narrate nel capitolo 24).
Arrivato senza incidenti al passaggio in cui Giuliano e Lucia dovevano incontrarsi per lo scambio di un manuale di GdR proseguì in questo modo:

«In quell'occasione raccontai al mio supposto amico Fernando che volevo al più presto sposare Lucia, facendone urgenza il fatto che altrimenti i suoi genitori non ci avrebbero permesso di trascorrere del tempo da soli.
Fernando, falso e meschino, si dimostrò entusiasta e mi assicurò che mi avrebbe fatto immediatamente avere un contratto a tempo indeterminato nell'azienda del padre, cosa che avrebbe sicuramente facilitato l'idea di prendere casa con Lucia.
Simulò alcune telefonate e mi disse di recarmi immediatamente a Torino per firmare, incaricandosi di restituire lui stesso il manuale di Pathfinder a Lucia e, in quell'occasione di informare lei a la sua famiglia della mia raggiunta stabilità economica.
Il giorno dopo ero a Torino, avevo appuntamento nel tardo pomeriggio per la firma e stavo aspettando nell'atrio della ditta già da un po', quando ricevo un SMS da Lucia che mi dice che Fernando era stato da loro la sera precedente, le aveva portato il manuale e l'aveva invitata per una one-shot con me quel giorno stesso.
Una one-shot capite?! Non era vero che ci sarei stato anche io! E Fernando non aveva mai giocato una partita a D&D in vita sua!
Io già mi immaginavo il porco che le metteva le mani addosso con la scusa di interpretare qualche guardia che la perquisiva!
Ebbene, balzai in macchina come Bo e Luke nel Generale Lee e corsi a Novara e arrivai in leggero anticipo sull'appuntamento.
Volevo vedere fin dove si sarebbe spinta la meschinità di Fernando e passai da una finestra sul retro della casa di Lucia, che conoscevo bene e avevo usato alcune volte per salutarla di nascosto.
Mi intrufolai nella tavernetta, che i genitori ci facevano usare per le partite con gli amici, e mi nascosi dietro una tenda.
Arrivò Fernando, tutto saluti e cortesie con i genitori di Lucia, e di lì a poco anche la mia promessa sposa, che neppure chiese di attendere il mio arrivo ma disse ai genitori di lasciarli tranquilli. Quasi fuori di me medesimo non ebbi il sangue freddo di esaminare bene i suoi vestiti, ma mi ricordo che era tutta truccata e un po' scollata, cosa che capitava di rado.
O memoria, mortale nemica della mia quiete che mi vai ora rappresentando la incomparabile perfezione della mia adorata nemica. Non sarà meglio che invece tu mi sottoponga quanto ella fece in quel punto, perché io mi accinga, non dirò a vendicarmi, ma a lasciare questa mia misera vita?»
Giuliano aveva iniziato a parlare in tono alterato, come se stesse recitando una delle sue poesie. Si accorse di essere guardato con sospetto, al ché si schiarì la voce e proseguì più pacatamente.
«Non fate caso a queste mie digressioni, che questa pena che ho dentro non si può riassumere così in due parole.
Stavo dunque dicendo che avevo trovato nascondiglio dietro una tenda e da lì ascoltai non visto la patetica messinscena di Fernando.
Il personaggio di Lucia era un chierico femmina con un'armatura bikini di cotta di maglia.
Un bikini di cotta di maglia,» ripeté Giuliano tirandosi i capelli per la disperazione, «capite ora quanto sia abbietto Fernando.»
«Davvero abominevole, i druidi non possono indossare la cotta di maglia.»
«Esatto!
Ma a Lucia sembrava che questo non interessasse.
L'avventura iniziò nel modo più banale: in una taverna. Il PG di Lucia venne avvicinato da un bardo che, nella descrizione, rispecchiava chiaramente il Master, cioè Fernando, che iniziò a corteggiarla.
Fecero un paio di tiri sul Carisma, di cui non vidi il risultato, e Fernando le chiese se, mentre attendeva il suo compagno di avventure, che avrei dovuto essere io, lei volesse appartarsi in camera con il PNG.
Lei tentennò un attimo, chissà se aveva pensato che fallire un tiro salvezza contro la seduzione avrebbe significato farmi perdere il senno!
E infine le udii pronunciare le tremende parole: "Sì, dai, chiediamo all'oste una camera." O Lucia, aborrito mio amore, o tormento ed estasi!» A questo punto lo Stracciata stava davvero strappandosi i capelli a ciocche.
«Ricolmo oltre ogni dire di sdegno e gelosia, persi in un solo momento l'amore, l'amicizia e il lavoro, perdetti anche la sanità mentale: uscii dal mio nascondiglio gridando bestemmie, attraversai di corsa la tavernetta e corsi verso casa. Lì buttai in una valigetta i vestiti che avevo indossato per il colloquio di lavoro e dei contanti, e senza porre altre domande a me stesso me ne andai lontano da quell'orrore.
La strada, silenziosa conoscitrice dell'animo di chi guida, mi portò in questi boschi, segreto rifugio del mio cuore da quando vi scambiai in gita scolastica il primo bacio con Lucia.
E qui resterò, a vivere come animale rabbioso, tra un accesso d'ira e uno di malinconia, finché il cielo non vorrà privarmi della vita, o dell'insopportabile memoria di Lucia.»
«Ma questo è fuori peggio di Donato.» Sussurrò Pietro al suo amico.
«E ci credo,» rispose Nicola ancor più a bassa voce, «a stare tutti quegli anni con una ragazza senza battere mai chiodo, gli ormoni gli avranno dato al cervello.»
L'insegnante meditò su quali parole usare per consolare lo sfortunato ragazzo, ma prima che potesse parlare venne interrotto da una voce, che con espressioni di dolore diceva ciò che si leggerà nel futuro capitolo.

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Anzi no, non mi piacciono troppe interruzioni con questo tipo di anticipazioni, per chi vuole leggere spoilero tutto subito: è la voce di una stupenda ragazza, la cui storia si ricollegherà con il dramma di Giuliano.

PS: Anche queste poesie, ascoltate da Piero e Nicola con anni di anticipo, sono state pubblicate nel libro Tre stagioni di Te e di Me, di Domenico Lascala.
Coincidenza?
Io non credo.

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