Capitolo 30

Della storia inventata dalla bella Dora e di altre piacevoli facezie

Pietro Pere non aveva ancora finito di parlare, che Sergio si intromise:
«Ad essere sincero è stato il mio amico a fare quel casino. Sì che gli avevo detto che non era un atto eroico liberare quella gente, che se li stavano sbattendo al fresco un motivo ci sarà stato.»
Si difese allora Don Cyshiter:
«Non è compito di noi paladini erranti investigare e conoscere l'allineamento di ogni afflitto od oppresso nel quale ci imbattiamo. è anzi nostro dovere soccorrerli, qualunque sia la causa delle loro pene, guardando unicamente alle loro sofferenze e non alle furfanterie di cui si sono macchiati.
Io mi sono incontrato con delle persone tribolate, e ho esercitato verso di loro la pietà della fede che professo. E sono pronto ad affrontare a duello chiunque sostenga che ciò sia malfatto.»
Dora vide come tutti si stavano divertendo alle spalle di Don Cyshiter e Sergio, e non volle essere da meno.
«Signor cavaliere, ricordatevi che mi avete promesso di non impegnarvi in altre imprese finché non avrete aiutato me. Questo galantuomo qui presente, non avrebbe parlato così se avesse saputo chi è stato a liberare quei furfanti.»
«Tratterrò, signora mia, la giusta collera che già si gonfiava nel mio petto; ma in cambio vi supplico di narrarmi la vostra sventura e darmi maggiori informazioni su quante e quali creature io debba affrontare, acciocché io abbia una misura del Grado Sfida che mi si prospetta dinnanzi.»
«Ma che mii...isteriose parole che usate, cavaliere.
Sappiate dunque che mi chiamo... mi chiamo...» Rivolse al barbiere-elfo-ninja un'occhiata per chiedere il suo intervento.
«Ella è Dorotea da Micomicone, e al suo rango non si conviene che si presenti da sola. Gli amici possono chiamarla Nobile Micomicona.»
«Ebbene è così. Mio padre è il re di Micomicone e si chiama Trinacrio. Egli ha ricevuto l'offerta di un viscido, putrido, fetido gigante di nome Zaurdu, che mi pretendeva come sua concubina in cambio di una grande quantità d'oro.
Io ovviamente non avrei mai accettato, così Zaurdu ha invaso il nostro regno e ucciso il mio buon padre. Prima di morire, però, siccome era abile nelle arti magiche, ha profetizzato che per liberare Micomicone avrei dovuto viaggiare fino al Lago d'Orta e lì trovare il grande cavaliere Don Cyshiter.»
«Detto anche il Paladino dalla Trista Figura.» Puntualizzò Sergio Zanca.

«E disse mio padre Trinacrio che avrei riconosciuto questo paladino da un neo in un certo posto.»
«Sergio, mio scudiero, aiutami tosto a spogliarmi, affinché Dama Dorotea possa verificare se io sia il paladino profetizzato.»
«Non serve.» disse Sergio. «Quando ti spogliavi tutto per fare gli allenamenti ho visto che hai un neo in mezzo alla schiena grosso come una moneta.»
«Del diametro e della foggia di un D20, vorrai dire. Lo chiamo "il marchio".»
«Sapere ciò mi basta.» Disse Dora, che non era più tanto sicura di voler vedere Don Cyshiter nudo. «Il re del mio popolo ha senza dubbio colto nel segno e Don Cyshiter è l'eroe che cerco. L'avevo capito fin da quando ho sentito parlare di lui appena uscita dal mio regno.»
«A proposito,» chiese il paladino, «parlatemi di questo regno segreto; com'è possibile che io non lo conosca se si trova nella mia patria La Mandria?»
Prima che Dora rispondesse, Pietro prese la parola:
«Narra la leggenda che, durante le visite notturne alla Mandria, molti turisti abbiano avvistato degli elfi. Essi infatti accederebbero al parco attraverso una porta visibile solo da loro, o dagli umani che si dimostrano degni.»
«Cosa te ne sembra, Sergio? Non ti dissi io che avremmo presto avuto una schiera di persone riconoscenti?»
«Hai voglia! Se tutti gli elfi sono come lei, mia signora Dorotea, non vediamo l'ora di aiutarvi.
Ci procrastiniamo ai suoi piedi,» disse inginocchiandosi, «e le giuriamo che il mio amico Don Cyshiter farà fuori quell'infame, o morirà nel tentativo.»
Chi poteva, tra gli astanti, trattenersi dal ridere vedendo la pazzia di uno e la dabbenaggine dell'altro?
Dora porse la mano a Sergio e lo invitò a rialzarsi, promettendogli l'eterna riconoscenza di tutte le sue damigelle.
«Tuttavia noi non indulgeremo nella gratificazione delle nostre imprese,» dichiarò Don Cyshiter. «che il nostro compenso sarà la vostra libertà e nostro monumento il sorriso del vostro popolo. Non appena il gigante sarà abbattuto, torneremo dalla gloriosa Selene finalmente degni del suo sguardo, e immediatamente porremo la nostra spada al servizio della dea.»
«Cioè, aspetta, vuoi dire che non passiamo nemmeno una notte nel paese di Miciomicio? Cioè non si schiaccia?» Il discorso sembrava un po' nebuloso a Sergio Zanca, eppure temeva di averne colto il senso, e Don Cyshiter lo confermò annuendo solennemente.
«No ma dico, che c'hai nel cervello? No, dico, ma l'hai vista questa qui?» Disse Sergio indicando Dora, come se si trattasse di una giumenta in vendita a una fiera. «Ma cos'è, non ti piace? Sarai anche fissato con Selene, ma guarda che questa è meglio. E non è che perché tu c'hai le tue fissazioni che io devo farmi un nodo all'uccello.»
All'udire quelle bestialità, Don Cyshiter sollevò la lancia, che nel bosco aveva usato come bastone, e la schiantò in testa a Sergio così forte da farlo stramazzare in terra. E lo avrebbe forse ammazzato se Dora con un grido non l'avesse pregato di perdonarlo.
«Pensi forse, manigoldo villano, di poter ammorbarci con la fetida aria della tua bocca, e che ti sia sempre tutto perdonato?
Dimmi, viscido goblin dalla lingua di vipera, chi pensi che abbia ucciso Zaurdu, disperso il suo esercito e liberato il regno, cose che possiamo considerare come già fatte, chi? Non capisci che non sarei in grado di sconfiggere una pulce, Grado Sfida sotto zero, se non fosse per il potere che mi infonde Selune?»
Sergio non era così malconcio da non sentire cosa gli si dicesse. Alzandosi alla meglio si mise dietro le spalle di Pietro e rispose:
«Mi spiace tanto, è che mi sembrava naturale e gentile voler stare in compagnia degli elfi. Così per festeggiare insieme.
Quanto a Selene, io non so cosa lei voglia da te...»
«Come non lo sai?» Lo interruppe Don Cyshiter. «Non le hai forse portato oggi il mio messaggio?»
«Si intende che non conosco bene i suoi piani, e tutte le cose da paladini.» 
«Suvvia, fate pace, non è fra di voi che dovete combattere.» Intervenne Dora con un sorriso.
«Ora ti compatisco, e ti chiedo scusa per l'aggressione per quanto motivata. Ma non è in potere degli uomini controllare le proprie reazioni istintive.»
«Questo lo so bene, visto che la mia reazione è sempre quella di parlare anche quando dovrei stare zitto.»

Mentre si avvicinavano alle macchine per ripartire, passò dalla strada un tizio su un motorino, e dovette rallentare e anzi frenare perché la via era occupata dai compagni.
Appena Sergio Zanca lo vide riconobbe Gino Passamonte e gli corse incontro.
«Ah, ladro! Ridammi la mia gioia, lascia il mio tesoro. Scappa via ladrone!»
Forse perché circondato da quegli strani figuri, o forse perché Sergio era trasfigurato alla vista del proprio scooter come un berserker di fronte al nemico, fatto sta che Gino non si fece ripetere l'invito e immediatamente abbandonò il motorino e si diede alla macchia.
Sergio Zanca abbracciò il Grigio.
«Come stai, amico mio?» Gli chiedeva abbracciandolo e baciandolo.
Lo scooter non rispondeva, ma tutti fecero i loro complimenti a Sergio per l'impresa.
Ora, cosa ci facesse Passamonte di nuovo da quelle parti, proprio non me lo spiego. Tutta la scena mi sembra raffazzonata e ho già evidenziato alcune incongruenze sull'argomento del Grigio trafugato, ma le mie fonti attestano così, e io riferisco da fedele cronista.

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